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Pur da remoto, ho continuato a sentire gli adolescenti che incontravo in studio tutte le settimane. Il mio lavoro è proseguito anche durante la quarantena, per tenere teso il filo del dialogo costruito con loro. Questo mi ha permesso di monitorare nel susseguirsi delle settimane come vivessero il particolare momento che tutti stiamo attraversando. Ho parlato con loro al telefono o in videochiamata e mi hanno spiegato che non avevano paura, che chiusi in casa si sentivano al sicuro, ma che osservavano le condizioni di isolamento nel rispetto degli altri: “Il Covid-19 fa meno paura a chi ha la mia età, non temo per me ma per i miei famigliari, soprattutto per i miei nonni. Poi ho capito che se rimaniamo a casa evitiamo che il virus si diffonda”. Così mi ha detto Federico, 15 anni.
I loro racconti mi hanno permesso di immaginare la loro vita in casa nel susseguirsi dei giorni. Li vedo passare da una stanza all’altra, dallo smartphone al tablet; svegliarsi con fatica per seguire le lezioni on line, afflitti dalla noia. In altri giorni le cose vanno meglio, permane l’intolleranza per la presenza degli altri familiari, sentiti interferenti nei loro contatti più personali con gli amici o troppo insistenti su alcune regole. La situazione a volte degenera con i fratelli, magari con quelli con qualche anno in meno, che non riescono comprendere che certi comportamenti sono provocazioni gratuite che generano una reazione piena di rabbia. Così si mettono alla disperata ricerca di privacy nella propria stanza o nel bagno, nel tentativo di evadere da una situazione difficile, dettata dalla clausura forzata.
Dai loro racconti si snocciolano momenti di vita diversi, con il loro correlato di emozioni: noia, rabbia, tristezza, rassegnazione, ma anche inattesa gioia per i colloqui virtuali con amici, che in questo frangente sono disponibili ad approfondire la relazione anche a distanza. Anche in famiglia è accaduto qualcosa di strano. In una quotidianità a volte troppo stretta, accanto a momenti davvero difficili, si aprono spazi di particolare significato, si scopre che i genitori sanno stare vicini, o almeno ci provano come non hanno mai fatto prima.
La scuola è sempre stata un elemento determinante di “organizzazione mentale” dei ragazzi. Il tempo dell’adolescente è strutturato dagli orari della scuola: le settimane si scandiscono in giornate con orari stabili, che divengono incontri, volti e luoghi familiari, impegni e obiettivi quotidiani.
La scuola è però soprattutto, per i ragazzi, partecipazione e sperimentazione sociale tra pari.
Non avrei mai pensato che Beatrice, 16 anni, che al mattino si trascinava a fino al cancello della scuola, sempre in ritardo e con nessuna voglia di entrare, mi dicesse: “Quanto mi manca la scuola”. Gli adolescenti lo sanno bene quanto hanno bisogno di passare del tempo con amici e compagni. La vita con i coetanei è il luogo dove si sperimentano, si mettono alla prova, collaudano sé stessi per meglio definirsi e per separarsi gradualmente dai genitori, sulla via del diventare adulti.
La chiusura delle scuole ha determinato uno stravolgimento nei ritmi di vita e ha generato la limitazione più dura degli spazi di aggregazione sociale che i ragazzi avevano: l’impossibilità di incontrare i coetanei.
La scuola è cambiata e loro si sono adattati. La didattica a distanza costituisce per loro la possibilità di guardare avanti, anche se di poco, di vedere che non tutto è bloccato, che qualcosa in modo diverso prosegue, che c’è futuro per l’obiettivo scolastico di quest’anno.
Il cambiamento è radicale nella modalità di insegnare e di apprendere. I ragazzi sanno apprezzare le novità e dimostrano stima per i loro ‘prof’ e per i tentativi messi in campo di portare avanti l’anno scolastico, anche se a volte goffi o non sempre riusciti. Nemmeno i pluribocciati hanno inneggiato alla perdita di tempo e programmi. La didattica a distanza ha ridotto gli orari, ha allentato la tensione per le scadenze puntuali delle lezioni e delle verifiche.
La perdita vera per tutti però è quella della classe, con i suoi legami di amicizia intensa, di fratellanza adolescenziale, compresi i limiti delle invidie e delle dispettose piccole cattiverie di ogni umana comunità. Così sono scomparsi dalle loro vite i punti di riferimento temporali e relazionali. Dai racconti di alcuni di loro, mi è sembrato ci fosse una paura più dolorosa e profonda: la paura di perdere definitivamente gli amici o di vedere scomparire quel rapporto d’amore da pochissimo costruito, faticosamente tessuto di parole imbarazzate, intensi sguardi e vitale desiderio. Questo significa per i ragazzi “mi manca la scuola!”.
Dai racconti dei ragazzi mi è sembrato chiaramente che i genitori abbiano cercato una “mediazione”, ascoltando i loro bisogni e, allo stesso tempo, riuscendo ad organizzare la vita familiare, includendoli e responsabilizzandoli nel cercare insieme delle regole che non li facessero sentire ulteriormente disorientati. Il compito del genitore è quello di essere più saggio dei propri figli: questo vuol dire da un lato capire e sostenere i loro bisogni evolutivi e dall’altro proteggere e educare i ragazzi, creando un clima di confronto empatico ma anche stabilendo alcune norme chiare e coerenti.
A fronte delle difficoltà, delle perdite che il cambiamento del lockdown ha comportato, va ricordato quanto siano importanti le competenze con le nuove tecnologie dei ‘nativi digitali’. È il momento di valorizzarle al meglio, ricordandoci che mantenere i contatti con gli altri è fonte di benessere. Così i ragazzi sono rimasti connessi per ore per raccontare sé stessi agli amici, per immaginare insieme, per capire se anche gli altri avevano paura, per allargare i margini della confidenza, per sentire gli altri per ritrovare sé stessi. Alcuni genitori però non riuscivano a darsi pace: “troppe ore con lo smartphone!”.
A questo riguardo va ricordato che il problema non è quello del “tempo” passato al cellulare ma dell’“uso” che ne vien fatto. Da temere non è il troppo tempo passato in internet, in chat, in video, guardando un film o una serie tv. Il pericolo vero è la perdita di sé, la chiusura in sé stessi, ammorbati dalla noia e senza relazioni. Il problema è da porsi quando l’uso delle tecnologie sostituisce le attività della vita quotidiana come mangiare, lavarsi, svolgere compiti scolastici. Quando si compromettono queste attività, l’uso delle chat, dei video, dei games e delle serie tv è disfunzionale e diviene sintomo, segnale di un malessere di cui iniziare a preoccuparsi. Intervenire non è facile, è cosa delicata aiutare i ragazzi a darsi dei tempi e si deve prestare attenzione a non andare in opposizione con imposizioni che rischiano di trasformare la vita domestica in guerriglia.
In quarantena tanti aspetti della gestione della vita familiare devono necessariamente subire dei cambiamenti. I genitori non devono arrabbiarsi se i figli passano molto tempo nella loro stanza, si deve piuttosto far capire ai figli che si stanno facendo degli sforzi per rispettare i loro spazi: se così non è, aspetteranno le ore notturne per poter parlare in totale libertà con i loro amici.
È un problema serio per i ragazzi, anche nei colloqui che intrattengo settimanalmente con i ragazzi chiusi nelle loro case, quello di essere ascoltati da qualche famigliare: costituisce il limite per poter parlare di sé con libertà. È importante che i genitori garantiscano i momenti in cui i ragazzi fanno le videochiamate con gli amici e le fidanzate/i, così da dare loro la certezza che non vogliono sentire le loro conversazioni. Altrettanto essenziale è non fare troppe domande così da non dare l’impressione di essere curiosi delle loro conversazioni. Domande che gli impongono di dar risposte non vere. Se si crea uno spazio in cui c’è il rispetto della privacy, abbasseranno la guardia e saranno anche più propensi a rispettare gli spazi degli altri, perché tutti ne hanno bisogno.
Per noi adulti è semplicemente solo una festa di compleanno quella che il lockdown impedisce, ma per un adolescente, che aspettava da mesi quel momento che non avverrà, non è un’occasione tra le altre che è andata persa. Quella festa per il diciottesimo del miglior amico, pensata a lungo in ogni dettaglio, è un momento che non potrà più essere recuperato.
Sono davvero tante le attività che caratterizzano la vita dei ragazzi che vengono attese a lungo e con trepidazione: le prime gite scolastiche in un’altra regione o all’estero, le attività extracurriculari, i pranzi con i compagni dopo scuola, le prime sere in cui si può uscire e poi restare a dormire dagli amici, i primi baci… Tutte situazioni desiderate che sono state cancellate in questi giorni.
Gli adolescenti sono fisiologicamente portati a vivere intensamente le emozioni e, in queste giornate, la noia, la frustrazione, la tristezza, la solitudine e l’ansia si sono fatte sentire più intensamente e non è stato facile arginarle. Ciò ha una enorme ripercussione sul loro umore e gli adulti devono dare loro il giusto spazio, offrire il loro ascolto e cercare di creare un clima di confronto e condivisione di quelle emozioni negative.
Nei loro racconti compare frequentemente l’espressione “non mi ascoltano… non mi capiscono…”. L’adulto deve porre attenzione a non sminuire o evitare le loro emozioni, i loro stati d’animo e le loro reazioni anche se appaiono eccessive. Si deve accogliere quello che stanno provando senza manifestare giudizi, senza dimostrare accordo o meno. Limitarsi semplicemente ad ascoltare riconoscendo verbalmente il loro dolore e imparare a rinforzare positivamente quanto sentito, dimostrandogli di aver ascoltato il racconto, di averlo capito, senza giudicarlo nei contenuti o nella sua espressione. Tutto ciò ha un impatto positivo sui rapporti perché riduce l’intensità dei conflitti e delle emozioni negative.
È importante che i ragazzi capiscano che possono parlare con i propri genitori. Gli adulti devono trovare le parole giuste per dire in modo chiaro la loro disponibilità a comprendere: “vedo che sei in difficoltà”, “se vuoi possiamo parlarne, aiutami a capire”, “è normale provare queste emozioni, vedremo insieme come possiamo fare”.
Non c’è poi da stupirsi o da rimanerci male se preferiscono altre persone con cui raccontarsi: è una regola del gioco dell’adolescenza: non possono sentirsi ancora i bambini di casa.
Ascoltando i ragazzi in queste settimane mi sono trovato davanti a reazioni molto differenti: c’è chi ha continuato con tranquillità e responsabilità, chi si è spaventato, chi si è sentito imprigionato chi si è reso meno reattivo e chi si è passivamente rassegnato. Una ricerca, riportata da “Il Messaggero” del 28 aprile 2020, promossa da un’associazione di psicologi che ha raccolto le segnalazioni di ragazzi dai 12 ai 19 anni, rivela che 1 su 3 degli adolescenti presenta più di un sintomo depressivo a causa del lockdown e che di questi il 68% sono ragazze.
Diventare meno propositivi e rischiare un abbassamento del tono dell’umore, può essere un disinvestimento temporaneo, in un primo tempo anche funzionale all’adattamento alla nuova situazione. Ma se si protrae anche al dopo emergenza, sicuramente sarebbe meglio discuterlo con un esperto.
Ora dopo molte settimane di permanenza in casa, la vita si è reimpostata, si è rotta una routine e ora, al momento della graduale ripresa, è necessario affrontare nuovi cambiamenti che possono generare ansia e angoscia.
C’è il rischio che la situazione si cronicizzi, che si mantengano relazioni solo virtuali, e che si faccia fatica a riattivarsi e a riprendere in mano le redini della propria vita, soprattutto se, già prima del lockdown, non si aveva una certa stabilità in termini emotivi, relazionali o di tenuta negli impegni.
Gli adolescenti si sono molto responsabilizzati nella fase di massima emergenza, hanno svolto i loro compiti con serietà, sono stati fermi e in famiglia. Ma dentro di loro cosa è accaduto, oltre a quanto appare con evidenza?
L’adolescente ha tra i suoi compiti evolutivi quello di affrontare il tema della morte, intesa come limite, da temere per le perdite che genera o da sfidare per potersi sentire invincibili. Ora dopo quanto è accaduto alla nostra società, il pensiero del morire ha assunto tratti di realtà che renderà i ragazzi attenti quando la vita sociale riprenderà, ma allo stesso tempo il rischio è che si sentano limitati, finiti e, per alcuni, “così fragili da continuare ad avere paura”.
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